Perché raccomandare di non prescrivere?
Raccomandare di non prescrivere
La nostra Società scientifica si è esercitata in una sfida recente, posta da Slow Medicine ([i]), nella scrittura di 5 raccomandazioni. Dopo un dibattito interno sulla scelta di più raccomandazioni, abbiamo trasmesso a SL una proposta, che tale associazione ha valutato, chiedendoci parziali rettifiche, e infine accolto ([ii]).
Di questo, come SIFaCT, ne siamo soddisfatti: non è stata una esercitazione banale, siamo la prima società di farmacisti clinici che lo ha tentato a livello mondiale, quanto prodotto costituirà la base per ulteriori raccomandazioni.
Siamo già certi che alcune raccomandazioni susciteranno qualche perplessità e, forse, qualche malumore.
L’importante che suscitino dibattito, al quale siamo pronti a partecipare.
A noi pare, inoltre, che la recente attività costituisca un ulteriore elemento a riprova dell’egemonia culturale che da tre anni S.I.Fa.C.T. punta ad esercitare nel nostro Paese all’interno della comunità dei farmacisti ospedalieri.
Pur nella esiguità degli aderenti (ma abbiamo superato i 300 iscritti) e nella ridotta disponibilità di risorse (ma i supporti stanno crescendo ogni anno esponenzialmente) che contraddistinguono le fasi iniziali dalla istituzione, un risultato come questo va valutato molto positivamente.
Stiamo ora tentando di proseguire questo lavoro di carattere scientifico culturale su un filone più attinente alla cultura del farmacista, quello della valutazione delle interazioni.
Il senso delle raccomandazioni
Come dice il nostro Presidente in carica, “il senso della raccomandazione è proprio quello di allertare prescrittori e farmacisti; se capita di prescrivere o vedere prescritta una combinazione pericolosa, prima bisogna accorgersi che ciò è avvenuto (e qui può servire la raccomandazione) e poi è giustissimo pensare a delle alternative.
In altre parole, la raccomandazione intende essere indirizzata solo a chi non si sarebbe accorto della pericolosità della associazione e non intende essere indirizzata a chi, già sapendo di questo pericolo, ha già deciso di evitare l’associazione stessa e di usare un farmaco alternativo.”
Di questo daremo conto appena terminato il dibattito, ancora interno, che culminerà con l’emanazione di ulteriori raccomandazioni più proprie alla nostra professione, senza potenziali “invasioni di campo”, pensando al riguardo di fare cosa utile e opportuna.
Ci interessa, in questa fase, occuparci però anche di un nuovo tema che è emerso a latere dell’attività di cui sopra e che ha riguardato il tema della non sostituibilità di determinati farmaci anche laddove fossero presenti alternative meno costose e a breve sarà pubblicato un nuovo contributo che ne darà puntualmente conto.
Riflessioni finali
Altre associazioni si sono esercitate nella direzione delle raccomandazioni: nell’ambito della campagna “Choosing Wisely” e della collaborazione con Slow Medicine, il C.I.P.O.M.O. (Collegio Italiano Primari di Oncologia Medica Ospedalieri) ha identificato ben 13 procedure che rispondevano ai criteri “Fare di più non significa fare meglio”, per rischio d’inappropriatezza, diffusione nella pratica della oncologia medica, possibile rischio per i pazienti e la cui messa in discussione poteva essere considerato “comportamento saggio”.
Tra queste, come ha fatto SIFaCT, tenuto conto delle indicazioni di “Slow Medicine”, ha poi individuate le cinque procedure più coerenti rispetto a: “Non fare”, “Non eseguire”, “Non prescrivere”, “Non richiedere”.
I medici sono vincolati dal giuramento di Ippocrate, noi puntiamo al “primum non nocere” al paziente e al servizio sanitario.
Siamo certi che le nostre buone intenzioni saranno pienamente apprezzate dai nostri interlocutori e che dal dibattito, che sicuramente scaturirà, vi saranno occasioni ulteriori di approfondimento e condivisione.
Bibliografia
[i] http://www.slowmedicine.it/pdf/Progetto%20Fare%20di%20più%20non%20significa%20fare%20meglio%20-%20disegno%20-.pdf
[ii] http://www.slowmedicine.it/pdf/Pratiche/Scheda%20SIFACT%20.pdf