SPERIMENTAZIONE AVIGAN, TRA LUCI E OMBRE: QUANTO NE SAPPIAMO?
Di Riccardo Bertin, Vera Damuzzo, Daniele Mengato
Nei giorni scorsi un video virale (è proprio il caso di dirlo) ha scosso il web destando particolare clamore: Avigan, un farmaco antivirale disponibile in Giappone, avrebbe dato esiti positivi in una sperimentazione su pazienti affetti da coronavirus.
Il video in questione, pubblicato su Facebook e successivamente ripreso da numerosi giornali e trasmissioni televisive, ritrae un quartiere centrale di Tokio in una bella giornata di inizio primavera, con la gente che passeggia normalmente per strada e i bambini che giocano; e l’autore del video afferma con convinzione che “in Giappone hanno un farmaco che cura il 90% dei casi di coronavirus”, con immancabili riferimenti al complotto e ad un presunto ruolo dell’agenzia regolatoria nazionale per non essersi interessata al problema privando la popolazione di questo “farmaco miracoloso”.
Si tratta di una notizia attendibile o piuttosto di una “bufala” per la quale dimostrare un sano scetticismo?
Avigan: cosa c’è di vero?
Favipiravir (è questo il nome del principio attivo) non è autorizzato in Europa, né negli USA; è un antivirale sviluppato dall’Azienda farmaceutica Toyama Chemical (consociata del gruppo Fujifilm Healthcare) ed autorizzato in Giappone nel Marzo 2014 per il trattamento di forme influenzali causate da ceppi virali nuovi o riemergenti, il cui utilizzo è riservato solo a specifiche situazioni di emergenza – ovvero ad infezioni virali pandemiche o infezioni influenzali “atipiche” per le quali i trattamenti convenzionali risultano inefficaci [1].
Per tale ragione il farmaco non può essere venduto direttamente al pubblico, ma è sottoposto allo stretto controllo del governo che deve autorizzarne l’uso – diversamente da quanto lasci immaginare il video che sta girando nei social.
Come agisce
Avigan ha dimostrato di possedere un ampio spettro di attività antivirale nei confronti di virus a RNA (come poliovirus, rinovirus e virus respiratori sinciziali) in alcuni studi condotti in vitro e su modello animale, che hanno permesso di approfondirne il meccanismo d’azione.
Dal punto di vista farmacodinamico si tratta di un profarmaco che, una volta attivato a favipiravir-ribofuranosil-5’-trifosfato, viene incorporato come analogo purinico nel processo di sintesi dell’RNA al posto di guanosina e adenosina, inibendo selettivamente l’RNA-polimerasi RNA-dipendente virale e agendo da terminatore di catena.
Gli studi preclinici hanno inoltre evidenziato che il farmaco può avere effetti teratogeni e mutageni durante lo sviluppo embrionale di animali da esperimento [1].
Gli studi disponibili
L’attività antivirale di favipiravir è stata prevalentemente studiata in setting preclinici su coltura cellulare e su modelli animali di infezioni virali umane: studi condotti sul topo hanno dimostrato una maggiore sopravvivenza degli animali infettati da virus dell’influenza trattati con favipiravir a 200 e 400 mg/kg/giorno rispetto ad oseltamivir (trattamento di controllo) alle medesime concentrazioni, evidenziando anche la capacità di non produrre forme virali resistenti [1].
Solo pochi dati sono stati raccolti mediante sperimentazioni cliniche condotte su pazienti (o attualmente in fase di conduzione, pressochè totalmente in Cina). Un piccolo studio clinico ha dimostrato una potenziale superiorità di favipiravir + oseltamivir nel controllare la viremia in due esigue coorti di pazienti cinesi affetti da influenza; lo studio è tuttavia caratterizzato da alcune criticità metodologiche che rendono, a nostro avviso, alquanto limitata la qualità delle evidenze prodotte (ridotta numerosità campionaria, sbilanciamento numerico tra i due bracci di trattamento, natura retrospettiva dell’analisi e reclutamento dei pazienti in ospedali e in stagioni influenzali differenti) [2]. Nel 2014 sono stati trattati anche dei pazienti africani affetti da Ebola e da altre infezioni da virus a RNA, misurando i tassi di mortalità, viremia e comparsa di ADR in seguito a somministrazione orale del farmaco ed evidenziando una riduzione non statisticamente significativa della mortalità rispetto al gruppo di controllo in uno studio, o un miglioramento dell’OS senza tuttavia prevedere una randomizzazione dei pazienti arruolati (anche per la mancanza di trattamenti standard di controllo) [3].
Una recente metanalisi che includeva quest’ultimo studio, mirata a comparare l’efficacia clinica di diversi farmaci impiegati “empiricamente” durante l’ultima epidemia di Ebola in Africa occidentale, ha evidenziato come questi studi condotti in condizioni di emergenza non si traducano di fatto in prove riproducibili di efficacia; la scarsa qualità dei risultati finali sembra essere dovuta proprio alla mancanza di randomizzazione tra due bracci di trattamento – condizione considerata essenziale per la conduzione di un buono studio clinico [4].
La posizione delle istituzioni
Inaspettatamente (ma non troppo), il video pubblicato su Facebook ha incontrato l’approvazione e l’entusiasmo di esponenti politici che, incoraggiati dal miraggio di trovare una cura all’infezione da COVID-19, hanno interpellato AIFA e Ministero della Salute per investire nella sperimentazione di favipiravir.
Per contro, la stessa azienda produttrice di Avigan e Fujifilm Italia hanno immediatamente espresso serie perplessità sui benefici della sperimentazione di favipiravir, dichiarando che al momento non esistono prove scientifiche cliniche che dimostrino l’efficacia e la sicurezza di Avigan contro COVID-19 nei pazienti.
Anche l’OMS ha smorzato gli entusiasmi sottolineando come attualmente non esista ancora un trattamento efficace contro COVID-19, e piccoli studi clinici non randomizzati non risponderebbero in maniera adeguata alla situazione di emergenza sanitaria che l’intero pianeta sta attraversando. L’uso di Avigan e di altri trattamenti non testati senza solide evidenze metodologiche potrebbe suscitare false speranze e, in alcuni casi, perfino causare più dannosità che beneficio sottraendo farmaci essenziali per curare le malattie per cui sono indicati (come nel caso di patologie autoimmuni o AIDS) [5].
Anche il Consiglio Superiore di Sanità, pur monitorando con attenzione i segnali relativi a farmaci potenzialmente efficaci per l’infezione da coronavirus, non ha riscontrato nessun dato che dimostri inconfutabilmente l’efficacia di Avigan [6].
Una rappresentanza della comunità scientifica si è interrogata sul motivo per cui in Italia non si punti piuttosto sugli altri farmaci in sperimentazione, che sembrano dare risultati incoraggianti. Per Avigan mancano dati sostanziali di letteratura, non solo relativi a prove di efficacia ma anche di sicurezza: fra i possibili rischi derivanti dall’uso di Avigan c’è anche quello di indurre una mutazione del virus in un ceppo più aggressivo e pericoloso dell’attuale (ipotesi che, al momento, non sembra configurarsi con altri farmaci antivirali attualmente in sperimentazione) [7].
La posizione di AIFA
La tutela della salute pubblica passa anche attraverso la valutazione e l’eventuale approvazione di nuovi trattamenti, che devono tuttavia dimostrare di essere efficaci anche sotto il profilo della sicurezza e del rapporto costo/beneficio.
Nei giorni scorsi la Commissione Tecnico-Scientifica di AIFA ha dichiarato in un comunicato che “ad oggi, non esistono studi clinici pubblicati relativi all’efficacia e alla sicurezza del farmaco nel trattamento della malattia da COVID-19. Sono unicamente noti dei dati preliminari (disponibili attualmente solo come versione pre-proof) di un piccolo studio non randomizzato condotto su pazienti non gravi fino a 7 giorni dall’insorgenza dei sintomi, in cui il favipiravir è stato confrontato all’antivirale lopinavir/ritonavir (anch’esso non autorizzato per il trattamento della malattia da COVID-19) in aggiunta, in entrambi i casi, ad interferone alfa-1b somministrato per aerosol” [8].
Nonostante i dati disponibili suggeriscano una potenziale attività di favipiravir – soprattutto per quanto concerne la riduzione della viremia e il miglioramento del quadro clinico polmonare alle immagini radiografiche, mancano dati sulla reale efficacia nell’uso clinico e sull’evoluzione della malattia. Gli stessi autori dello studio dichiarano come non sia stata ancora chiarita l’eventuale correlazione tra titolo virale e prognosi clinica, e come la mancanza di randomizzazione possa produrre distorsioni, anche significative, nei criteri di arruolamento dei pazienti.
Per tali ragioni, AIFA si è riservata il beneficio di approfondire le informazioni attualmente note sul farmaco e studiare la fattibilità di un’eventuale sperimentazione per valutare l’impatto del farmaco nelle fasi iniziali della malattia.
[1] “Favirapir, an anti-influenza drug against life-threatening RNA virus infections”. Pharmacol Ther, 2020
[2] “Comparative effectiveness of combined favipiravir and oseltamivir therapy versus oseltamivir monotherapy in critically ill patients with influenza virus infection”. J Infect Dis, 2019
[3] “Experimental treatment with Favipiravir for Ebola virus disease (the JIKI Trial): a historically, controlled, single-arm proof-of-concept trial in Guinea”. Plos Med, 2016
[4] “A meta-analysis of clinical studies conducted during the West Africa Ebola virus disease outbreak confirms the need for randomized control groups”. Sci Transl Med, 2019
[6] Ministero della Salute, https://www.salute.gov.it
[7] “AVIGAN e le terapie a furor di popolo”, https://www.scienzainrete.it
[8] Agenzia Italiana del Farmaco, https://www.aifa.gov.it