Di Roberta Di Turi e GianGiuseppe Console
L’esplosione del caso COVID a livello mondiale sta mettendo a dura (durissima) prova tutti i sistemi sanitari. L’Italia è, almeno fino ad oggi, Il Paese che dopo la Cina sta affrontando più degli altri una situazione che, probabilmente, è eufemistico definire gravissima sia nei numeri dei colpiti sia nella gravità/intensità dell’infezione. Il nostro servizio sanitario sta rispondendo appieno alle emergenze che si stanno manifestando nelle singole realtà delle nostre regioni. E’ una situazione che nessuno poteva ragionevolmente prevedere e che sta comportando tutta una serie di interventi che riguardano il sistema delle relazioni sociali e quello che, in particolare, riguarda i livelli assistenziali. Tutte le strutture sanitarie, con i relativi servizi interni, sono chiamate a soddisfare una domanda assistenziale che viene graduata a seconda della gravità alla quale si deve far fronte. In questo panorama, risulta evidente, che tutti i servizi sanitari che operano all’interno delle strutture sono impegnate a costituire un fronte unico di contrasto alla diffusione e al trattamento della patologia che l’infezione determina. In definitiva (e per semplificare) si è creato un fronte costituito dai centri di rianimazione e di terapie intensive e una retrovia che sostiene il fronte alimentandolo di tutto ciò che serve per assicurare ai pazienti i trattamenti adeguati.
E’ pertanto evidente che, in tale contesto emergenziale, riveste un ruolo fondamentale la logistica dei beni sanitari che viene gestita grazie all’impegno dei farmacisti del SSN che stanno garantendo le terapie e la dispensazione dei dispositivi necessari a sanitari e ai pazienti. Queste attività sono meno note al pubblico, anche perché poco trattate dai media e quasi del tutto ignorate dai provvedimenti governativi. Si parla, ovviamente e giustamente, di “guerra al virus”, ma chi lavora nel SSN deve anche continuare a far funzionare la complessa macchina delle strutture ospedaliere e sanitarie in generale. Le guerre tuttavia non si vincono solo con atti di eroismo (che normalmente rappresentano il racconto delle sconfitte e non delle vittorie) o elargendo encomi, bensì elaborando e mettendo in campo idonee strategie ed una adeguata organizzazione logistica. E’ quanto stanno facendo i colleghi, degno corpo del “genio” in un contesto quasi militarizzato, dove occorre trovare soluzioni anche creative alle carenze a alle emergenze dell’attività professionale quotidiana.
Per rimanere nella metafora, queste azioni da “retrovie” impegnano un piccolo “esercito invisibile” (costituito da poco più di 3.000 unità in tutta Italia) che si occupa di reperire e rendere disponibile i beni sanitari di competenza. Pur in condizioni così difficili, infatti, i farmaci continuano ad essere reperiti per le normali esigenze ospedaliere. Per quelle straordinarie si è, anche, potenziata la galenica all’interno dei laboratori delle farmacie ospedaliere, studiando e allestendo forme farmaceutiche e variazioni di dosi, necessarie sia per le sperimentazioni sia per i pazienti con particolari esigenze (es.: infettivologia, oncologia, disfagie, PEG, bambini). La produzione di gel antisettici ormai irreperibili nel mercato, la formazione nell’uso di nuovi medicinali e la corretta informazione da contrapporre a quanto di miracoloso si riporta in internet, sono solo alcune delle forse poco eroiche attività eseguite. Ma il più banale e pure necessario reperimento di dispositivi di protezione individuale (DPI) per gli operatori, per eseguire la diagnostica (IVD), e i dispositivi medici (DM) per far funzionare la chirurgia e la clinica, avviene in condizioni straordinarie ed impreviste.
E poi c’è il fronte vero e proprio: quello della dispensazione dei medicinali di fascia H e molti altri che devono essere consegnati direttamente ai pazienti in dimissione. E questa attività comporta l’assunzione di un rischio elevato, pari a quello che corrono medici ed infermieri, perché l’erogazione avviene in condizioni peggiori di quelle di una normale farmacia aperta al pubblico. I farmacisti devono attingere alla loro esperienza e competenza per ottenere quanto necessario da ditte farmaceutiche non più così facilmente raggiungibili o cercando i necessari confronti con le unità di acquisto per interpretare norme che non nascono per agire in emergenza. Infine, dove quanto descritto non sia sufficiente, le farmacie attivano la rete di conoscenze professionali e di solidarietà/sinergie che in questi momenti si rivela straordinariamente efficiente. Questo sparuto gruppo di professionisti che agisce per l’utenza, quasi nell’ombra, è da sempre ancora più penalizzato di altre figure sanitarie. Un lampante esempio è rappresentato dalla nostra specializzazione, che prevede una frequenza obbligatoria come per i medici e necessaria per l’assunzione nel SSN, ma non riceve oggi nessuno dei contributi erogati per gli specializzandi medici e, in più, anche i recenti investimenti governativi per l’emergenza non prevedono piani di assunzione dei farmacisti (grazie al mancato inserimento nel D.L. 14/2020). Non si tratta, ovviamente, di rivendicare qualche encomio ma si vorrebbe che fosse evidente come la mancata focalizzazione sulla centralità/indispensabilità della funzione della gestione del “bene sanitario” potrebbe rendere critico il percorso della filiera della salute pubblica. Il SiNaFO continuerà la sua battaglia con l’appoggio convinto di SIFaCT ed altre società scientifiche di farmacisti, affinché emerga in tutta la sua drammatica valenza l’estrema criticità in cui versano i nostri servizi da troppo tempo ignorati da coloro che avevano ed hanno il potere e il dovere di intervenire. Abbiamo conquistato, dopo un lunghissimo percorso, faticoso e irto di criticità e di ostacoli, l’area unica contrattuale. Ora sediamo allo stesso tavolo della contrattazione nazionale e periferica insieme a tutti i dirigenti sanitari. E’ arrivato il tempo di concentrare la massima attenzione sul potenziamento strutturale e sugli organici dei nostri servizi ospedalieri e territoriali e sullo sviluppo e radicazione della professione in coerenza con quanto prevedono le norme che ci riguardano. Le lotte che si sono fatte contro esternalizzazioni selvagge, contro lo scippo di funzioni alle quali solo noi potevamo (e possiamo) assolvere, contro le invasioni di campo da parte di altre categorie, devono trovare una soluzione definitiva. Ma ci deve essere prima il coinvolgimento sinergico e partecipe innanzitutto della professione e poi quello del mondo accademico e della Federazione degli Ordini.
Non si tratta di “cavalcare la tigre”, si tratta di dare un futuro a questa professione che sta, in questo momento, mostrando tutte le sue capacità professionali, tutte le sue potenzialità ma anche le fragilità causate da una inerzia delle istituzioni che avrebbero dovuto ascoltare la voce “della protesta e della proposta” reiteratamente avanzata dalle nostre associazioni.
Per ora vogliamo (non desideriamo) che gli organici vengano immediatamente rimpinguati con le forme e le modalità di assunzione adottate per i medici, subito dopo porremo in essere le iniziative necessarie a superare tutte le criticità che, sia a livello ospedaliero sia a livello territoriale, si sono accumulate e cronicizzate.
Dal confronto con SIFaCT emerge la necessità di raccogliere tutte le esigenze non solo dei farmacisti del SSN ma anche di tutte le professioni che con noi interagiscono per fornire i servizi che ci sono richiesti e che non sempre sono erogate in modo omogeneo nel nostro paese. Molti sono tuttavia esasperati e ci chiedono di dire “basta”.
Basta con un lavoro che, per carenza di organici, ci vede spesso costretti ad occuparci anche di attività amministrative e burocratiche, che ci allontanano da quelle linee di attività per le quali siamo formati e che per legge dobbiamo obbligatoriamente svolgere all’interno delle strutture del SSN. Ma basta anche all’autoreferenzialità, che spesso ci chiude nelle nostre “Torri d’avorio” e ci esclude automaticamente dalle dinamiche relazionali, assistenziali e dalle necessarie sinergie e condivisioni con le altre professionalità. E, da ultimo, un invito ai direttori delle strutture farmaceutiche affinché sposino continuamente i processi di innovazione lasciando lo spazio adeguato alle iniziative dei giovani. E’ faticoso e forse inopportuno chiedere di fare di più, perché sappiamo bene che innovare, collaborare ed uscire dagli schemi ad isorisorse è difficile. Però non ci sarà permesso di perdere queste occasioni che sicuramente, passata la tempesta e ricomposto l’asset assistenziale, ci saranno. Abbiamo, anche in questa occasione, dimostrato la nostra indispensabilità, ora cerchiamo di dimostrare di avere la voglia di affrontare un futuro professionale più appagante.
Non è un sogno, è una necessità
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